Comprendere il primo assioma della comunicazione umana per dare voce anche a ciò che non diciamo
Tutto comunica, anche quando sembra che non lo faccia
“Non si può non comunicare.”
Con questa frase, Paul Watzlawick e i suoi colleghi della Scuola di Palo Alto hanno espresso uno dei concetti più rivoluzionari della psicologia della comunicazione. Ogni comportamento — parola, gesto, sguardo o silenzio — è un messaggio che l’altro interpreta e a cui reagisce. Anche quando ci chiudiamo nel mutismo, quando distogliamo lo sguardo o quando fingiamo indifferenza, stiamo comunque comunicando qualcosa: distanza, rifiuto, paura, bisogno di spazio.
Non esiste una condizione di “non comunicazione”, perché il semplice fatto di esserci in relazione con l’altro ci rende comunicanti, anche senza parlare.
Il silenzio come messaggio: quando non dire diventa comunicare
Molte persone associano la comunicazione alle parole, ma la realtà è che la maggior parte del nostro messaggio passa altrove: nel tono di voce, nei gesti, nelle pause e, soprattutto, nei silenzi. Pensiamo a un litigio di coppia in cui uno dei due smette di rispondere. Il silenzio, in quel caso, può essere più rumoroso di mille frasi: può dire “non voglio ferirti”, oppure “non mi sento ascoltato”, o ancora “non so più come farmi capire”. Il problema nasce quando non siamo consapevoli del messaggio che trasmettiamo attraverso il nostro comportamento.
Un silenzio può essere letto come punizione, come chiusura o come protezione, ma se non viene chiarito, l’altro tenderà a riempirlo con le proprie interpretazioni — spesso le più dolorose.
Nelle relazioni affettive o familiari, questo può generare circoli viziosi: più uno tace, più l’altro insiste o si allontana, e la distanza cresce, alimentata da un linguaggio fatto di omissioni e supposizioni.
Tutto parte dalla consapevolezza: leggere (e provare a rileggere) il non detto
Essere consapevoli che “non si può non comunicare” ci spinge a guardare la comunicazione da un’altra prospettiva: non solo come uno scambio di parole, ma come un sistema di significati in continuo movimento.
Ogni gesto o scelta relazionale — dal rispondere a un messaggio al cambiare tono di voce — diventa un atto comunicativo che costruisce la relazione stessa.
In terapia, questo principio assume un valore fondamentale. Nella psicoterapia breve strategica, l’attenzione non si focalizza solo su cosa la persona dice, ma su come lo dice e che effetto produce sull’altro. Spesso il cambiamento nasce proprio quando il paziente riesce a osservare i propri comportamenti comunicativi “da fuori”, comprendendo il loro ruolo nel mantenere o nel rompere un problema. Ad esempio, una persona che si lamenta di sentirsi ignorata dal partner potrebbe scoprire che, per paura del conflitto, evita di esprimere ciò che prova. Così, nel tentativo di non peggiorare la situazione, finisce per rafforzare proprio quel silenzio che la fa soffrire.
Prendere consapevolezza di questo meccanismo è il primo passo per cambiare la mossa — e modificare la dinamica comunicativa che mantiene il disagio.
Rompere i circoli viziosi del silenzio e dell’evitamento
Quando una relazione si blocca, spesso non è per mancanza di affetto, ma per mancanza di comunicazione consapevole. Le persone iniziano a muoversi dentro un copione ripetitivo: uno parla troppo, l’altro tace; uno rincorre, l’altro scappa. Entrambi si sentono incompresi, ma nessuno si accorge che anche il non agire è una forma di azione comunicativa. In questi casi, la chiave non è “parlare di più”, ma comunicare in modo diverso. Significa imparare a usare anche il silenzio in modo intenzionale: come pausa che permette all’altro di ascoltare, come spazio che accoglie l’emozione, non come muro che separa.
Possiamo aiutare la persona a sbloccare questi pattern comunicativi attraverso piccoli cambiamenti concreti:
- modificare un gesto o una risposta automatica,
- introdurre un comportamento nuovo in un momento critico,
- imparare a osservare la propria comunicazione “dall’esterno”.
Quando cambia la mossa, cambia la relazione.
Dare significato al silenzio per tornare a comunicare davvero
Il primo assioma della comunicazione ci ricorda che la relazione è un processo costante, che si costruisce anche nei momenti di silenzio. Ogni pausa, ogni gesto, ogni scelta di non parlare è una forma di messaggio. Imparare a riconoscerlo significa recuperare potere e responsabilità: comprendere che, anche quando non possiamo controllare la risposta dell’altro, possiamo sempre scegliere come comunicare. In un mondo che spinge a dire, rispondere e spiegare tutto, a volte la vera svolta è imparare a dare voce al silenzio — riconoscendolo, ascoltandolo e trasformandolo in comprensione reciproca.
Riflettiamo insieme:
“Anche quando non dici nulla, stai dicendo qualcosa.” Prova a chiederti: cosa sto comunicando, oggi, senza parole? Forse, dietro un silenzio, c’è solo il bisogno di essere finalmente ascoltati.
